Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale numerosi profughi ebrei erano presenti nelle zone dell’Italia meridionale liberate dagli Alleati, dove erano stati confinati durante il periodo bellico in alcuni campi per l’internamento civile nell’Italia fascista. Il numero dei profughi crebbe con la progressiva liberazione dell’Italia e ancora più con la fine del conflitto quando in Italia si riversarono migliaia di reduci dai campi di concentramento dell’Europa centrale nella speranza di potere da lì emigrare in Palestina.
Per i rifugiati ebrei furono allestiti numerosi campi di accoglienza gestiti dall’United Nations Relief and Rehabilitation Administration (Amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza e la riabilitazione), nota con la sigla “UNRRA”. Allo scopo furono requisite scuole, caserme, edifici pubblici, case o ville. Diversi di questi campi si trovavano in Puglia, nella zona del Salento, a Tricase, Santa Caterina di Nardò, Santa Maria di Leuca e Santa Cesarea Terme.
I Campi furono contrassegnati con numeri progressivi:
– 34 Santa Maria al Bagno (Nardò)
– 35 Santa Maria di Leuca
– 36 Santa Cesarea Terme
– 39 Tricase porto
Questi campi nacquero con lo scopo di accogliere migliaia di ebrei che, sopravvissuti all’Olocausto, avevano raggiunto le coste italiane, nella speranza di effettuare l’Aliyah Beth, cioè di sbarcare in Palestina.
Il Salento ha rappresentato una rinascita per chi fuggiva dalla guerra, dai campi di concentramento e dalle persecuzioni naziste, divenendo per migliaia di ebrei liberati dai campi di sterminio, luogo di accoglienza, di recupero della serenità e dell’umanità.
All’interno di questi campi vennero presto costruiti asili nido, scuole, mense, biblioteche e vennero avviate attività commerciali, uffici postali e luoghi di preghiera.
I profughi venivano sfamati alla mensa gestita dall’UNRRA e avevano a disposizione alimenti come la cioccolata, il pane caldo e la carne, tutto cibo insolito per i salentini, che avevano conosciuto la fame nel periodo della guerra. I profughi sin da subito cominciarono a barattare gli alimenti e gli aiuti eccedenti con servizi e beni che potevano essere loro forniti dalla popolazione locale. Così l’arrivo dei profughi ebrei fu ben accolto come una occasione di lavoro e un vantaggio per l’intera regione. I rifugiati diedero vita ad attività economiche spesso in società con persone del luogo, basate sul commercio del pesce e ad alcuni negozi di vestiario.
Col passare del tempo, i rapporti tra gli ebrei e i salentini si fecero così sempre più stretti e amichevoli. I ragazzi del campo frequentavano la scuola e giocavano con i ragazzi locali.
Della presenza degli ebrei a Santa Cesarea rimangono le iscrizioni in caratteri ebraici sulle pareti di un bar sul corso principale della città, non a caso chiamato Porta d’Oriente. I testi sono probabilmente legati alla funzione che la struttura svolgeva all’ interno del campo: “Unione dei lavoratori di Israele”, “Per l’emigrazione, il lavoro e la difesa”, “Refettorio”.
Alla fine, più di quarantamila furono gli ebrei passati dai campi del Salento prima di rifarsi una vita in Palestina.
(Nella foto di copertina, mamme con bambini nati nel campo di Santa Maria di Leuca, foto riportata nel libro Guida al Salento Ebraico)